L’intervista a un professionista sul campo
Giuseppe Campione, 46 anni, è un infermiere, italiano di nascita e norvegese di adozione. Dopo una laurea in lettere, dal 1997 si è trasferito in Norvegia dove, nel 2019, ha conseguito la laurea in infermieristica e poi ha iniziato a svolgere la professione. Dopo numerose esperienze, fra cui lavoro in RSA, corsi in infermieristica per senzatetto e tirocini in strutture con persone con deficit uditivi, ha lavorato, dal 2018, anche come infermiere di famiglia a Oslo.
Che ruolo ha l’infermiere di famiglia?
«In Norvegia, l’infermiere di famiglia è chiamato infermiere per assistenza a domicilio. È una figura professionale che viene supportata e affiancata da operatori socio sanitari o anche assistenti. L’infermiere ha mansioni di responsabilità come il controllo dei pazienti, dei loro parametri vitali, delle medicine. L’infermiere osserva, registra, fa medicazioni. Tutto viene rapportato e in casi specifici vengono contattati altri colleghi con competenze più settoriali e specializzate, come per esempio i casi di malati oncologici».
Come si diventa infermiere di famiglia?
«Dipende. In Norvegia non c’è un tipo di istruzione specifica per diventare infermiere di famiglia: basta essere laureato in infermieristica e autorizzato a svolgere la professione mediante l’iscrizione all’Ufficio apposito. In Italia invece occorre essere iscritti all’Albo».
Ci sono differenze fra i percorsi in Italia e in Norvegia?
«In Norvegia, il percorso accademico e professionale è poi differente. Lavorando nel settore occorre fare corsi di aggiornamento, piccoli master o specialistiche, richieste e previste nel piano del Ministero della Salute. Tutto questo nell’ottica di migliorare e incentivare le proprie conoscenze e competenze. Possono essere anche corsi settoriali e più specifici come per esempio per la gestione delle piaghe, o per la comunicazione con pazienti con problemi, o anche corsi di prima assistenza per il suicidio. Un po’ come se fossero i crediti Ecm in Italia, tanto che alcuni hanno veri e propri crediti formativi universitari, altri invece punteggi che vengono calcolati e conteggiati nel registro dove si è iscritti. Gli aggiornamenti possono essere anche più tecnici, magari riguardanti l’aggiornamento di software, l’uso di macchinari».
In quali strutture opera l’infermiere di famiglia?
«In linea di massima, l’infermiere di famiglia opere in un contesto domiciliare, in quanto principalmente è colui o colei che va a casa delle persone. In Norvegia una persona ha diritto all’assistenza sanitaria a prescindere da tutto il resto. Per ottenere l’assistenza domiciliare, generalmente o il medico di famiglia o un familiare, fa domanda all’ufficio Asl del quartiere; successivamente, un addetto qualificato dell’ASL va a vedere la situazione e se la domanda viene accettata l’utente viene messo nella lista e, quindi, visitato dall’infermiere di famiglia. I pazienti con maggior bisogno ricevono quindi la visita dall’infermiere, altrimenti di operatori socio sanitari o di assistenti. Le attrezzature vengono mandate direttamente al domicilio, cosicché l’infermiere possa passare dall’ufficio centrale a recuperare il camice usa e getta e gli altri accessori necessari di default».
Ci sono differenze fra Paesi?
«Sì. Il servizio che offre l’infermiere di famiglia in Norvegia esiste da oltre vent’anni. Bisogna considerare poi che nel Nord Europa un tempo era possibile lavorare nel settore sanitario anche senza competenze specifiche e settoriali, a differenza di quanto accade in Italia. Adesso anche lì le cose stanno cambiando. In Norvegia ci sono grandi distanze fra le città, per cui lavorare come infermiere di famiglia a Oslo è ben diverso dal lavorare in altre cittadine. A ogni modo il Comune offre bici elettriche, autobus, automobili e agevolazioni per spostarsi a seconda del domicilio del paziente».
In che modo si potrebbe incrementare il ruolo dell’infermiere di famiglia?
“Cercando di diffondere questa figura professionale, divulgandola. Servirebbe un piano formativo specifico per questo ruolo infermieristico. Occorrerebbe fare un database, e dove necessario un corso di aggiornamento o preparatorio per potenziare le conoscenze anche a livello etico, giuridico, sociale e socio-economico. Tutto è importante e andando a casa di un paziente, per esempio, bisogna esercitare il segreto professionale, la riservatezza, il rispetto e tutti i diritti che hanno i cittadini malati. Servono anche corsi di comunicazione: bisogna essere preparati, adeguarsi e capire perché tutto può accadere”.
Viviana dice
Importante figura di riferimento che al momento, in Italia non c’è ma che sarebbe utile proporre ,perché un infermiere familiare instaura un rapporto di fiducia con il malato che si sente rassicurato nel confrontarsi sempre con la stessa persona.
Domenico Ianuale dice
la figura dell’infermiere familiare di base e’ molto interessante dal punto di vista sociale, e’ una
figura professionale che deve avere approfondite conoscenze di nursery e stabilire col paziente
un rapporto di empatia specie se si tratti di anziani o persone affetti da problematiche psichiche.