Un grande risultato pubblicato su Frontiers in Earth Science
Grandi passi avanti per la paleontologia virtuale col nuovo metodo per correggere le deformazioni di campioni fossili che si avvale di complessi algoritmi e del confronto con reperti non deformati. È il risultato di uno studio internazionale guidato dall’Università di Firenze, pubblicato su Frontiers in Earth Science.
Paleontologia virtuale, l’unione di due emisferi distanti nella ricerca scientifica
Contrariamente a quanto si possa pensare, la paleontologia può essere connessa al mondo degli algoritmi e del virtuale. Questo è infatti cosa dimostra una ricerca scientifica condotta dall’Università di Firenze. Nello specifico ecco di cosa tratta il lavoro pubblicato su Frontiers in Earth Science. Questo, spiega come alcuni complessi algoritmi hanno consentito agli studiosi di riparare campioni fossili originali, spesso deformati dai processi di fossilizzazione, e ottenere nuovi reperti in 3D, ricostruendo la morfologia originale.
Specifiche dello studio condotto dall’Università di Firenze
Paleontologia virtuale, l’attuazione della correzione. Il cambiamento, detto tecnicamente “retrodeformazione”, è stato possibile confrontando l’oggetto di studio con altri campioni di riferimento non deformati. Questi, appartenenti alla stessa specie del reperto preso in esame. Il paragone è avvenuto fra un fossile molto deformato di Equus stenonis, equide simile a una zebra che viveva in Europa circa 2 milioni di anni fa. La ricerca dà quindi un nuovo metodo (“Target Deformation”) per la retrodeformazione virtuale. Infatti, finora, veniva praticata solo con programmi di grafica 3D e senza target di paragone (“Target Deformation of the Equus stenonis Holotype Skull: A Virtual Reconstruction”).
La pubblicazione dell’importante risultato di paleontologia virtuale di Università di Firenze
Il risultato pubblicato in open access, è frutto di un team internazionale. A coordinarlo è stato Omar Cirilli, dottorando del Dipartimento di Scienza della Terra degli Atenei di Firenze e Pisa. Con lui, ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università Federico II di Napoli, dell’Università di York e della John Moores University di Liverpool. Inoltre, presente il contributo di ricercatori della Howard University e dello Smithsonian Natural History Museum (Washington DC, USA), e del Georgian National Museum (Tbilisi, Georgia).
Le parole di Omar Cirilli, uno degli autori
«Il fossile studiato – spiega Omar Cirilli, autore Unifi insieme a Lorenzo Rook, docente di Paleontologia e paleoecologia – è il cranio tipo di Equus stenonis, conservato nelle collezioni del Museo di Geologia e Paleontologia del Sistema Museale dell’Università di Firenze, il reperto su cui il paleontologo fiorentino Igino Cocchi istituì la specie nel 1867. Per retrodeformarlo virtualmente abbiamo usato come esemplari di riferimento due crani incompleti provenienti dai siti del Pleistocene Inferiore di Olivola (Italia) e Dmanisi (Georgia)». L’assemblamento dei due reperti è avvenuto virtualmente. Le successive analisi comparative con altri reperti della stessa specie hanno dato la finale dimostrazione. Si ha quindi che la forma del modello ultimo è completamente coerente con la variabilità della specie stessa.
Nuove frontiere e prospettive nelle parole di Cirilli
«Spesso i Paleontologi si trovano di fronte il classico dilemma se inserire o escludere alcuni reperti dai loro studi, soprattutto per il grado di deformazioni che presentano – ha commentato Cirilli -. Questo studio, unito con altri precedenti pubblicati da alcuni autori coinvolti in questo lavoro (Marina Melchionna, Antonio Profico e Pasquale Raia), consente di aprire una nuova frontiera nella Paleontologia virtuale, ricostruendo la morfologia originale dei fossili deformati, e permettendo a vecchie ossa di tornare a raccontare nuove storie. Proprio come nell’arte giapponese del Kintsugi, dove oro e argento liquidi vengono utilizzati da esperti artigiani per riparare oggetti rotti, dando loro nuova vita».
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