Le associazioni di categoria: “Decisione inaccettabile”
Firenze sarà la città con l’imposta di soggiorno più alta d’Italia e tra le più care d’Europa. È il risultato della decisione dell’amministrazione comunale di Palazzo Vecchio di approfittare subito dell’approvazione dell’articolo 787 della legge di bilancio che dà facoltà ai Comuni di procedere in base ai dati Istat sulle presenze turistiche qualora superino di venti volte il numero dei residenti.
Venezia è a un massimo di 5 euro, ma con il criterio della stagionalità, cioè con importi ridotti nei periodi di minor affluenza, e sconti a seconda delle zone in cui gli hotel sono ubicati; a Roma si pagano 7 euro per i 5 stelle e 6 euro per i quattro stelle, ma per i tre stelle si scende già a 4 euro, che diventano 3 per gli una e due stelle.
A Firenze invece le nuove tariffe, annunciate dal Comune durante gli incontri con le categorie economiche, prevedono 3,50 euro per gli alberghi a 1 stella, 4,50 euro per i 2 stelle, 6 euro per i 3 stelle, 7 per i 4 stelle e 8 euro per i cinque stelle. Per l’extra alberghiero 5,50 euro tranne che per le residenze d’epoca a 7 euro. Firenze inoltre è la sola tra le città turistiche con i parametri per l’applicazione degli aumenti pronta a vararli da subito, per recuperare circa 20/25 milioni necessari per la copertura del bilancio 2023. Peraltro l’applicazione delle nuove tariffe dovrebbe scattare dal 1 aprile, mettendo a rischio il sistema delle prenotazioni, considerando che un gran numero di camere sono state già vendute ai prezzi finora in vigore, cosa che potrebbe portare a contestazioni e cancellazioni, mentre sarebbe stato più opportuno darsi una scadenza più lunga per consentire al sistema di adeguarsi.
Un aumento che le associazioni di categoria delle imprese alberghiere hanno fortemente contestato, proponendo anche alternative, senza però alcuna considerazione. Le imprese del comparto alberghiero non possono condividere una simile imposizione, perché va ad incidere sulla dinamica dei prezzi e rischia di spingere i turisti, soprattutto chi arriva in comitiva, verso soluzioni di pernottamento più economiche, anche di pochi euro, guardando magari all’offerta dei comuni dell’area metropolitana, dove l’imposta è nettamente inferiore.
Una tassa di soggiorno che per altro appare iniqua, in quanto solo i soggiorni nelle strutture ricettive vengono colpiti, quando la filiera del turismo genera ricchezza diffusa per l’intera città e avvantaggia tante altre tipologie di impresa. Il turista insomma mangia, consuma, fa shopping, ma si guarda al solo aspetto del pernottamento, così che al turista mordi e fuggi non viene chiesto un euro in più di contributo, con il risultato di disincentivare la permanenza.
In un momento così delicato, in cui il turismo esce da 2 anni di restrizioni e con forti perdite subite dal Covid, ma fortunatamente in una fase di crescita e stabilizzazione, si rischia di compromettere il delicato recupero di destinazioni, come Firenze, che stavano appena rialzando la testa, caricando di ulteriori costi i turisti e di burocrazia gli albergatori. Anche se il 2022 ha portato le aziende a marginare nuovamente, questi margini vanno solo parzialmente a coprire le perdite derivanti dalle chiusure Covid; le aziende ricettive sono tutte fortemente indebitate con tassi instabili e in crescita e a dover combattere con il rialzo dei costi energetici. Il tutto ha impoverito le aziende soprattutto quelle medio piccole del nostro territorio.
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