L’intervista all’artista fiorentino Giuseppe Rosini
La luce è alla base dell’arte di Giuseppe Rosini. Fiorentino, classe ’75, da vent’anni ha investito tutto nella sua creatività e, da autodidatta, è diventato uno sculture apprezzato. I suoi sono pezzi unici, realizzati con paraffina, resina epossidica e cere. La sua è un’arte astratta, non figurativa, ispirata alle forme architettoniche.
«La paraffina, in una sua variante particolarmente dura e resistente al calore, è il tipo di cera che prediligo intagliare per realizzare opere originali in resina epossidica – spiega l’artista -. Tali opere, attraversate dalla luce, sono in grado di sprigionare una bellezza ipnotica. Sembrano avere un’anima».
Giuseppe Rosini ha studiato Giurisprudenza all’Università di Siena ma poi ha capito che la sua strada era un’altra. Oggi ha clienti soprattutto istituzionali, dal Comune di Firenze all’Opera di Santa Maria del Fiore, ma anche del settore moda e lusso. Nel 2020 ha partecipato alla Biennale “Light art” di Mantova. In particolare, nel 2010 l’Opera di Santa Maria del Fiore ed il Capitolo Metropolitano Fiorentino gli hanno commissionato dei ceri in grado di sfruttare il sistema di alimentazione della fiamma con lume a olio dei ceri in plastica. Tali ceri, capaci di resistere al calore prodotto dalla fiamma del lume a olio e quindi utilizzabili un numero indeterminato di volte, sono poi divenuti un nuovo arredo permanente della Cattedrale.
«L’arte mi è sempre piaciuta. Ho iniziato realizzando delle lanterne-sculture che illuminavo dall’interno con candele o lampadine. Plasmavo le opere con l’obbiettivo di metterle in rapporto con le sorgenti di luce. Lavorare con la paraffina comporta quasi sempre doverla ottimizzare combinandola con altre cere e doversi districare in mezzo a un gruppo molto ampio di materiali che differiscono tra loro non solo per origine ma anche e soprattutto per caratteristiche – continua Giuseppe Rosini -. Se si guarda un oggetto realizzato in materiale traslucido e lo si guarda con la luce che gli passa sopra diventa come un negativo di una foto: si vedono sulla sua superficie delle immagini che cambiano a seconda dello spessore che ha l’oggetto e alla tipologia di luce. In questo modo la materia sembra prendere vita tramite la luce in questi oggetti traslucidi, ogni oggetto è se stesso ma anche il proprio negativo. Mi piace molto creare sculture modulari, elementi con stessa forma geometrica che si possono assemblare. Questo perché chi guarda è libero di poter modificare l’opera e diviene partecipe del processo creativo in questo modo. Così – conclude – chi guarda può dare il proprio tocco all’interpretazione dell’opera e così l’arte diventa veicolo di comunicazione».
Alessandra Ricco
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