Uve immerse in mare come facevano gli antichi greci. Nasce così Nesos, il vino prodotto seguendo un metodo di vinificazione di 2500 anni fa. Un esperimento enologico unico al mondo nato all’isola d’Elba dopo che Antonio Arrighi, piccolo produttore dell’isola, sentì Attilio Scienza, ordinario di viticoltura dell’Università degli studi di Milano parlare della sua ricerca sul vino dell’isola greca di Chio. L’esperimento è stato condotto in collaborazione con Angela Zinnai e Francesca Venturi del corso di viticoltura ed enologia dell’Università di Pisa.
Il sale, il segreto dei vini greci
Come i vini di Lesbo, Samos o di Thaso, quello di Chio era dolce e alcolico ma aveva qualcosa che gli altri vini non avevano. Un segreto che i produttori di Chio custodivano gelosamente e che rendeva questo vino particolarmente aromatico. La presenza del sale dovuta all’immersione dell’uva chiusa in ceste, nel mare, con lo scopo di togliere la pruina dalla buccia. Questo accelerava l’appassimento al sole, preservando in questo modo l’aroma del vitigno. Per ricreare questo particolare metodo di vinificazione è stata usata l’Ansonica, uva bianca tipica dell’Elba, probabile incrocio di due antiche uve dell’Egeo, il Rhoditis ed il Sideritis. Varietà caratterizzate da una buccia molto resistente e una polpa croccante che ha permesso una lunga permanenza in mare.
Nesos, 40 bottiglie di vino senza solfiti
Le uve utilizzate per produrre Nesos sono state immerse in mare per 5 giorni a circa 10 metri di profondità, protette in ceste di vimini. Questo processo ha consentito di eliminare parte della pruina superficiale, accelerando così il successivo appassimento al sole sui graticci. La presenza di sale nell’uva, con effetto antiossidante e disinfettante, ha permesso di provare a non utilizzare i solfiti. Così si è arrivati a produrre, dopo un anno in affinamento in bottiglia, un vino estremamente naturale, molto simile a quello prodotto 2500 anni fa. Nella vendemmia 2018 sono state prodotte solo 40 bottiglie; quella 2019 è nelle anfore di terracotta ancora a contatto con le bucce. Dalle analisi svolte dall’Università di Pisa è emerso che il contenuto in fenoli totali del vino marino è il doppio rispetto a quello prodotto tradizionalmente. Questo grazie alla maggiore estrazione legata alla parziale riduzione della resistenza della buccia.
Ciuoffo: «un prodotto capace di raccontare una storia»
«Un percorso di recupero della storia – ha commentato l’assessore regionale al turismo Stefano Ciuoffo. Un’esperienza di produzione di vino che ha radici antiche. Un metodo di produzione che risale all’antica Grecia e che ha lasciato le sue tracce nel Mediterraneo, in particolare lungo la costa e le isole toscane. Il commercio di questo vino nelle corti romane è documentato. Questo tentativo di produzione ha dato risultati molto apprezzati e mi auguro che questo progetto possa proseguire nei prossimi anni per arrivare ad ottenere un prodotto innovativo, in grado di raccontare una storia».
L’Ansonica-Inzolia, cugino di Rhoditis e Sideritis
Il legame di questo vino mitologico con l’isola d’Elba è anche di tipo storico. Come tutti i commercianti greci anche quelli del vino di Chio, facevano scalo sulla via del ritorno in patria, all’isola d’Elba e a Piombino, per caricare materiali ferrosi, venendo quindi a contatto con il mondo etrusco. I ritrovamenti di anfore in relitti di navi affondate, nelle tombe o nella costruzione di drenaggi, testimoniano che molte città costiere della Toscana etrusca erano tra i luoghi di maggior frequentazione dei commercianti di Chio. Inoltre, dall’analisi del DNA di un set di vitigni dell’Isola del Giglio e della Toscana tirrenica, i ricercatori del Diprove dell’Università di Milano hanno trovato notevoli analogie genetiche tra il vitigno Ansonica-Inzolia e due vitigni provenienti dall’Egeo orientale, il Rhoditis ed il Sideritis.
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