Il punto di Michele Taccetti di China2000, la cui famiglia opera con la Cina da tre generazioni
di Margherita Barzagli
Il mercato cinese, soprattutto in era post Covid, rappresenta un’opportunità per le imprese toscane che vogliono allargare il loro raggio d’azione. Ma non bisogna fare l’errore di lanciarsi senza paracadute su un mercato in cui preparazione e conoscenza, non solo commerciale, hanno un peso rilevante. Lo sa bene Michele Taccetti la cui famiglia opera con la Cina da tre generazioni. E che con il tempo ha imparato che il primo passo è saper coniugare il diverso modo di fare impresa dei due Paesi.
Oggi è alla guida di China 2000 Srl, realtà nata nel 1998 come sintesi di attività commerciale con la Cina iniziata dalla famiglia Taccetti nel 1946. Una storia che inizia con l’importazione in Italia di trecce di paglia, utilizzate per la produzione del cappello di paglia di Firenze della Enrico Taccetti e figli, fondata nel 1867 a Lastra a Signa. E che prosegue nel 1980 con l’esperienza di Ubaldo Taccetti, per poi consolidarsi dal 1995 fino ad oggi con l’attività di Michele Taccetti e la creazione di sedi permanenti in Cina.
Con Michele Taccetti abbiamo fatto il punto sulla situazione e sulle opportunità per le imprese che vogliono approcciare il mercato cinese. Un’analisi che poggia sulla lunga tradizione che lega la famiglia Taccetti alla Cina e che oggi conta una rete di esperti, partner e società per la gestione dei diversi ambiti commerciali. Perché per lavorare in Cina la conoscenza diretta dell’ambiente e un approccio ‘sartoriale’ sono due aspetti imprescindibili.
Perché è importante l’attività di import ed export con la Cina?
«Innanzitutto perché, ad oggi, a livello di numeri è il mercato più consistente. È sempre più un paese di riferimento che ha sempre fatto accordi, anche in tempi recenti, con paesi vicini. Ha senza dubbio una rilevanza mondiale, tutto il mondo è lì. Ma l’aspetto positivo è che la Cina è sempre alla ricerca di collaborazioni con Paesi e realtà di cui riconosce l’esperienza e la qualità. E la Toscana in questo senso ha grandi potenzialità».
Cosa rende attraente l’Italia per la Cina e viceversa?
«Sono due Paesi che si attraggono perché per certi aspetti sono simili: il senso della famiglia, il senso d’impresa, lo sviluppo di aree e distretti. Entrambi i Paesi condividono una storia e una cultura millenaria che amano tutelare e valorizzare. Poi certamente ci sono dei punti di distanza: la Cina è razionale, programmatica, più fredda rispetto all’Italia. E questo permette di instaurare una sorta complementarità di azione che si traduce nella parte commerciale».
Come è cambiata la situazione durante la pandemia?
«Quando il resto del mondo si è fermato, la Cina è diventata forse l’unico grande mercato di riferimento. Una sorta di ‘fabbrica del mondo’ per il materiale necessario per fronteggiare la pandemia. Con tutti i mercati fermi, la Cina si è mossa molto bene, facendo comunicazione online, promuovendo fiere online B2B, gestendo al meglio il problema delle distanze. E questo ha messo il Paese in una posizione di vantaggio rispetto a chi, per mancanza di risorse o ingegno, è rimasto fermo».
Quali sono ora le opportunità per chi vuole approcciare il mercato cinese?
«Le opportunità sono tante e in tanti settori. Tra i settori in grossa crescita c’è il settore green, su cui la Cina si sta mettendo in regola velocemente. Ma ci sono tanti altri settori fermi a causa della pandemia ma con grandi potenzialità di crescita. Ma a chi vuole fare questo passo serve preparazione e grande conoscenza della cultura. Tuttavia ora c’è un vantaggio. L’emergenza sanitaria ha riallineato le posizioni, permettendo alle aziende che erano rimaste indietro, di avere una seconda possibilità per ripartire».
Su cosa si concentra l’attività di China 2000?
«In particolare ci occupiamo di promuovere prodotti e territori italiani in Cina, con lo scopo di valorizzare il mercato attraverso realtà locali. Questo è possibile oggi grazie ai lunghi rapporti commerciali e a una presenza costante di oltre 70 anni della mia famiglia in Cina. Tutto è nato nel dopoguerra, quando mio nonno ha iniziato a importare trecce di paglia dalla Cina per fare cappelli, perché in Italia la paglia non si trovava. È così che mio padre ha iniziato negli anni ’80 a viaggiare in Cina e io l’ho seguito a partire dal 1995. E dal ‘98 abbiamo iniziato a ‘portare’ aziende italiane in Cina. Questo ci permette di avere oggi una presenza stabile, in Cina grazie a una rete di con sedi e partner».
Quali cambiamenti sono avvenuti nel corso del tempo nel mercato cinese? Cosa si può dire guardando al futuro?
«Nel 1979, appena iniziò ad aprirsi al commercio estero, in Cina era notte fonda: la povertà dilagava ed era un Paese chiuso in se stesso. Da lì ha rapidamente iniziato a rinnovarsi e crescendo a grandi velocità, partendo da Shanghai negli anni ’90. Un cambio radicale che ha coinvolto in primo luogo le nuove generazioni, anche grazie allo sviluppo delle telecomunicazioni, fondamentali in un paese così grande. Per il futuro credo che da parte della Toscana e dell’Italia, tutto dipenda da noi: fondamentalmente la Cina è cambiata nell’economia ma non nell’approccio. Rischia e investe con chi fa lo stesso. Non c’è un business umorale con la Cina, bisogna avere un’idea precisa. Ma nei numeri è il mercato del futuro».
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