Giulio Ravoni racconta la sua attività come coordinatore medico dell’Associazione Tumori Toscana
Dal sostegno terapeutico a quello psicologico. Il paziente oncologico, e la famiglia che lo assiste, ha esigenze, dubbi, timori spesso in divenire. Un cammino in molti casi difficile da affrontare, che l’assistenza domiciliare può rendere meno intricato. Assistere a casa un paziente oncologico comporta una serie di responsabilità e azioni sul campo che spesso vengono portate avanti da realtà associative come l’Att. Abbiamo approfondito il tema con Giulio Ravoni, quarant’anni non ancora compiuti e coordinatore medico dell’Associazione Tumori Toscana.
In cosa differisce l’assistenza domiciliare da quella ospedaliera?
«L’assistenza domiciliare permette di essere sottoposti a determinate terapie e procedure (come per esempio i prelievi) nell’intimità del proprio ambiente domestico. E questo con tempistiche e modalità diverse da quelle ospedaliere dove, per varie ragioni, non sempre è possibile ricevere quell’attenzione che invece viene dedicata all’interno della propria abitazione. Anche per i sanitari che lavorano in assistenza domiciliare la differenza è sostanzialmente la stessa: si infrange quella barriera medico/ospedaliera (spesso tipica delle cure ospedaliere) a vantaggio di un rapporto più umano, supportando pazienti e famiglie su problematiche di ambito medico ma anche, più semplicemente, della vita quotidiana».
Quali aspetti occorre considerare nel rapporto che si instaura tra il medico, il paziente e la sua famiglia?
«Sono vari. Sicuramente dobbiamo porre attenzione alla comunicazione, sia relativamente al tipo di informazioni che devono essere date che alla modalità con cui spiegarle. In ambito oncologico, in particolare, è indispensabile prendersi il tempo necessario per parlare con un paziente e la sua famiglia, accertarsi che abbiano capito quanto detto e rispondere a tutte le domande poste».
Quali sono le criticità a cui va incontro la famiglia di un paziente oncologico?
«Si trova ad affrontare criticità sia di tipo medico che concernenti la vita quotidiana. Infatti, oltre ai sintomi della malattia e agli effetti collaterali delle terapie (che con il progredire delle conoscenze mediche si stanno riducendo sempre di più), viene stravolta la vita quotidiana. Ed ecco allora che ci si trovano davanti diverse prove: dalle visite agli esami da fare in ospedale, dalle pratiche burocratiche (come invalidità, accompagnamento, assenze dal lavoro) a problematiche anche economiche, dato che, per esempio, non tutti i farmaci sono passati dal sistema sanitario».
Quali professionisti lavorano nella vostra rete e quanti sono?
«Lo staff sanitario di Att è attualmente composto da 3 medici, 6 infermiere, 4 operatrici socio-sanitarie, 2 psicologhe, 1 fisioterapista e una nutrizionista».
Quali sono le difficoltà più frequenti nella gestione domiciliare del paziente?
«Essere immerso nella vita di una famiglia che si trova, spesso all’improvviso, ad affrontare una malattia oncologica. E, quindi, interveniamo non soltanto per il controllo dei sintomi legati alla patologia o per gli effetti collaterali legati alle terapie (chemioterapia, radioterapia per esempio), ma anche per aiutare a risolvere problematiche che complicano la vita quotidiana».
Quali servizi gratuiti mette a disposizione l’Att?
«Oltre all’assistenza medico-infermieristica attiva 24 ore su 24, 7 giorni su 7, abbiamo un servizio di aiuto per l’igiene personale, grazie alla presenza delle operatrici socio-sanitarie, il supporto psicologico per paziente e familiari, consulenze da parte del fisioterapista e della nutrizionista. Forniamo anche tutti quei presidi sanitari che possono aiutare una famiglia nella vita quotidiana, quali aste per flebo, deambulatori, sedie a rotelle, letti ospedalieri».
Come confrontarsi ogni giorno sul campo con il dolore?
«Il riconoscimento che ci viene dimostrato ogni giorno dalle famiglie che assistiamo è uno stimolo. Capita, in alcune occasioni, anche a distanza di anni, di ricevere ancora ringraziamenti ed elogi per l’assistenza data. Questo riconoscimento, per chi ha deciso di occuparsi di assistenza domiciliare, è sicuramente più importante di quello economico. Non credo sia pensabile lavorare in questo ambito senza trovare nella gratitudine delle famiglie e dei pazienti la spinta a un miglioramento continuo».
Pensa che le notizie negative sia giusto darle subito o a piccole dosi?
«Per accettare e metabolizzare una notizia negativa è sicuramente indispensabile farlo nel tempo. Per questo il processo comunicativo deve essere a tappe, partendo da quello che un paziente e una famiglia sanno e hanno compreso al momento del primo incontro e poi iniziando a rispondere alle domande poste. A ogni incontro o visita ci dobbiamo prendere del tempo per parlare, spiegare cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere, senza doversi trovare ad affrontare la realtà in un tempo che non è sufficiente a realizzare cosa sta accadendo. Avere il giusto tempo a disposizione, inoltre, garantisce a un paziente e alla sua famiglia la possibilità di stabilire delle priorità, prendere decisioni, dare importanza a quello che conta e non sposta l’attenzione su aspetti che, nella vita di un malato e della sua famiglia, sono secondari».
Quale eredità emotiva lasciano le storie dei pazienti oncologici?
«Ogni paziente che assistiamo ci lascia qualcosa, sia a livello professionale che, soprattutto umano. La prima volta che entro in una casa e conosco una famiglia cerco di conoscere la storia dei suoi componenti. Questo mi permette di capire chi ho davanti e di aiutarlo il più possibile, cercando di “cucire su misura” l’assistenza, senza imporre un modello predefinito. Questo l’ho imparato negli anni e me l’hanno insegnato alcuni pazienti che ho assistito. Ovviamente, da un punto di vista emotivo, non è un lavoro semplice, ma il ricordo di alcuni pazienti e delle loro famiglie, come la loro gratitudine, è una bella eredità, con un profondo significato».
Una storia tra tutte?
«Sono molte le storie che mi vengono in mente pensando a questi miei dieci anni di assistenza domiciliare e credo che farei un torto a molte famiglie se ne raccontassi una in particolare. Riporto un episodio come esempio di gratitudine e riconoscimento che riceviamo ogni giorno. Riguarda la richiesta di assistenza per un professore di medicina, in pensione da alcuni anni. Dopo la visita, parlando delle terapie, il professore dice alla figlia, riferendosi a me: “Questo dottorino è simpatico. Ha studiato poco, ma è simpatico”. Finita la visita, poco dopo essere uscito dalla casa del professore, la figlia mi chiama al telefono, dicendomi: “Dottore, spero non si sia offeso, mio padre è sempre stato così, ha un senso dell’umorismo tutto suo, ma le garantisco che quello che ha detto è un attestato di stima e vuol dire che ha fiducia in lei, altrimenti non le avrebbe chiesto quando tornava a trovarlo”. La stima è stata reciproca».
Alessandra Ricco
Patrizia Podestà dice
Bellissima relazione Dr. Ravoni.
Chiara, dettagliata. Illustra perfettamente l’assistenza data dalla nostra associazione e la gratificazione personale che se ne trae è di molto superiore ai ringraziamenti che si ricevono.